La Stanza dei Sogni

  Il Manifesto
  Maestro di Botteg@
  Stanza dei Sogni

 

a cura di Giacomo Bucci ed Enrico Ratti
articolo pubblicato in prima pagina sulla Cronaca di Mantova l' 11 febbraio 2005

Economia dell'appagamento
 

E' noto che molte persone pensano il tempo a partire dalla sua contabilità e dunque dalla sua durata, ovvero dalla sua economia, insomma dal modo più spiccio di risparmiarsi soprattutto quando è in gioco il lavoro. Altre persone, invece, si fanno seguaci del tempo e, quindi, lavorando non si risparmiano ma investono incessantemente in direzione della qualità e del miglioramento di se stesse e delle condizioni di vita degli altri. E' lecito quindi chiedersi: che differenza passa tra una persona che si risparmia credendo di padroneggiare il tempo e una persona che si fa emula del tempo e che, di conseguenza, è assolutamente differente da se stessa e distaccata dalla sua mentalità, dalle sue superstizioni e dai suoi tic? Nel primo caso la vita può essere intesa come un viaggio infernale, nel secondo caso la vita può essere considerata a partire dall'idea di approdare alla felicità. Naturalmente quando parliamo di felicità siamo ben lungi dal considerarla una promessa di benessere o dal paragonarla alla felicità dello schiavo di Hegel o all'utopia della vita senza lavoro di Marx; per noi la questione della felicità è la questione stessa dell'approdo a quella qualità della vita dove il tempo non è contraddistinto dalla sua fine, ma è il fare in atto. Ebbene, quando un individuo si fa emulo del tempo e di conseguenza acquisisce anche la consapevolezza che il suo viaggio fa parte di un progetto infinito, si assume anche la responsabilità di attuare delle scelte arbitrarie e non previste da nessun schema già dato a priori. In questo contesto non è il successo che rende felici, ma è la libertà di operare delle scelte uniche e personali (che, paradossalmente, possono rivelarsi anche degli insuccessi) a rendere felici. Se quanto abbiamo appena esposto risponde a verità ne consegue, anche, che il consumismo non porta alla felicità ma è un'idea di società basata su bisogni artificiali e assolutamente fasulli. Consapevoli di questa devastazione culturale indotta dall'economia consumistica, e per cercare di dare un contributo all'avanzamento civile e intellettuale della società in cui viviamo abbiamo, allora, sentito l'esigenza di elaborare un nuovo modello economico che abbiamo chiamato economia dell'appagamento. Una nuova economia che a partire dai principi base del capitalismo di matrice rinascimentale (principi avviati a partire dalla costituzione del ceto medio), propone un'autoregolamentazione etica capace di rinnovare quel concetto di capitalismo così com'è stato elaborato da Max Weber in poi. Una autoregolamentazione etica che passa attraverso una vera e propria rivoluzione culturale basata sul dono d'amore. Un dono d'amore che ciascuno fa, anzitutto, a se stesso e poi agli altri, pur rispettandoli nella loro individualità. Il risultato di tutto questo processo, come abbiamo più volte sottolineato, è un approdo ad una migliore qualità della vita. Ecco perché, per noi, essere appagati non vuol dire essere privi di ambizioni ma, anzi, significa saper sopravvalutare il proprio progetto di vita per massimizzare la felicità propria e degli altri, in un ambiente di lavoro contraddistinto dalla serenità e dall'equilibrio. Da qui procede anche quella che più volte abbiamo chiamato la pace planetaria: una nuova condizione umana dove ciascuno indipendentemente dal suo statuto sociale, dal colore della pelle o dalle ricchezze che possiede ha l'occasione di diventare dispositivo di forza, dispositivo di battaglia, dispositivo economico, dispositivo finanziario, dispositivo di qualità.
Se questi sono gli assi da cui abbiamo fatto procedere l'economia dell'appagamento e le sue due costanti (il servizio intellettuale e il superfluo) come, allora, poter applicare concretamente questa nuova teoria economica alla realtà? La nostra proposta, durante tutta l'esposizione della teoria dell'appagamento, è stata quella di sostituire al vecchio modello economico competitivo e carrieristico, tipico dell'economia del consumismo, la Botteg@ telematica del terzo millennio: un nuovo dispositivo produttivo dove il tutor è colui che fornisce servizi intellettuali capaci di ridisegnare nuove relazioni tra tempo di lavoro e tempo di educazione e dove il lavoratore ha l'occasione di realizzare il proprio progetto di vita e di riuscita. In questo contesto l'economia dell'appagamento non vuole proporre soluzioni economiche alla disoccupazione, all'aumento del Pil o alle relazioni tra banche e imprese, ma propone dispositivi culturali e sociali che non hanno precedenti nelle teorie economiche contemporanee, perché procedono da una visione, per dir così, olistica della società.
Insomma, l'economia dell'appagamento è anche e soprattutto un nuovo progetto di società che a partire dall'infinito in atto, dalla ridefinizione delle attività culturali e produttive e dalla reinvenzione delle relazioni tra pubblico e privato, approda alle nuove tecnologie della società dell'informazione su cui poggiano, tra l'altro, anche le istituzioni dell'Unione Europea. Ebbene, a nostro avviso, questo nuovo modo di intendere le relazioni tra impresa, lavoro, cultura e comunicazione, produce utili perché riduce la conflittualità e il controllo e, quindi, anche tutti i costi relativi alla loro gestione. Inoltre, affinché la Botteg@ telematica come nuovo dispositivo produttivo si affermi sempre più occorre partire da una nuova idea di associazione. Un'associazione non più caratterizzata dal castigo e dal perdono in quanto mezzi ritenuti idonei all'amministrazione della felicità, ma fondata su principi come la solidarietà, la cooperazione, l'accoglienza, la lealtà e la tolleranza.
In estrema sintesi: per raggiungere la felicità universale, implicita in questo nuovo modello economico, è necessario incominciare a considerare il dono d'amore non più solo come un'esclusiva della famiglia e della scuola, ma anche come una prerogativa dell'impresa e di tutte quelle istituzioni dove la gestione del lavoro si basa ancora sull'idea che la felicità sia l'altra faccia del sacrificio.