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E' noto che molte persone pensano il tempo a partire dalla sua contabilità e dunque dalla sua
durata, ovvero dalla sua economia, insomma dal modo più spiccio di risparmiarsi soprattutto quando è in gioco il lavoro. Altre persone, invece, si
fanno seguaci del tempo e, quindi, lavorando non si risparmiano ma investono incessantemente in direzione della qualità e del miglioramento di se
stesse e delle condizioni di vita degli altri. E' lecito quindi chiedersi: che differenza passa tra una persona che si risparmia credendo di
padroneggiare il tempo e una persona che si fa emula del tempo e che, di conseguenza, è assolutamente differente da se stessa e distaccata dalla sua
mentalità, dalle sue superstizioni e dai suoi tic? Nel primo caso la vita può essere intesa come un viaggio infernale, nel secondo caso la vita può
essere considerata a partire dall'idea di approdare alla felicità. Naturalmente quando parliamo di felicità siamo ben lungi dal considerarla una
promessa di benessere o dal paragonarla alla felicità dello schiavo di Hegel o all'utopia della vita senza lavoro di Marx; per noi la questione della
felicità è la questione stessa dell'approdo a quella qualità della vita dove il tempo non è contraddistinto dalla sua fine, ma è il fare in atto.
Ebbene, quando un individuo si fa emulo del tempo e di conseguenza acquisisce anche la consapevolezza che il suo viaggio fa parte di un progetto
infinito, si assume anche la responsabilità di attuare delle scelte arbitrarie e non previste da nessun schema già dato a priori. In questo contesto
non è il successo che rende felici, ma è la libertà di operare delle scelte uniche e personali (che, paradossalmente, possono rivelarsi anche degli
insuccessi) a rendere felici. Se quanto abbiamo appena esposto risponde a verità ne consegue, anche, che il consumismo non porta alla felicità ma è
un'idea di società basata su bisogni artificiali e assolutamente fasulli. Consapevoli di questa devastazione culturale indotta dall'economia
consumistica, e per cercare di dare un contributo all'avanzamento civile e intellettuale della società in cui viviamo abbiamo, allora, sentito
l'esigenza di elaborare un nuovo modello economico che abbiamo chiamato economia dell'appagamento. Una nuova economia che a partire dai
principi base del capitalismo di matrice rinascimentale (principi avviati a partire dalla costituzione del ceto medio), propone
un'autoregolamentazione etica capace di rinnovare quel concetto di capitalismo così com'è stato elaborato da Max Weber in poi. Una
autoregolamentazione etica che passa attraverso una vera e propria rivoluzione culturale basata sul dono d'amore. Un dono d'amore che ciascuno fa,
anzitutto, a se stesso e poi agli altri, pur rispettandoli nella loro individualità. Il risultato di tutto questo processo, come abbiamo più volte
sottolineato, è un approdo ad una migliore qualità della vita. Ecco perché, per noi, essere appagati non vuol dire essere privi di ambizioni ma,
anzi, significa saper sopravvalutare il proprio progetto di vita per massimizzare la felicità propria e degli altri, in un ambiente di lavoro
contraddistinto dalla serenità e dall'equilibrio. Da qui procede anche quella che più volte abbiamo chiamato la pace planetaria: una nuova condizione
umana dove ciascuno indipendentemente dal suo statuto sociale, dal colore della pelle o dalle ricchezze che possiede ha l'occasione di diventare
dispositivo di forza, dispositivo di battaglia, dispositivo economico, dispositivo finanziario, dispositivo di qualità.
Se questi sono gli assi da cui abbiamo fatto procedere l'economia dell'appagamento e le sue due costanti (il servizio intellettuale e il superfluo)
come, allora, poter applicare concretamente questa nuova teoria economica alla realtà? La nostra proposta, durante tutta l'esposizione della teoria
dell'appagamento, è stata quella di sostituire al vecchio modello economico competitivo e carrieristico, tipico dell'economia del consumismo, la
Botteg@ telematica del terzo millennio: un nuovo dispositivo produttivo dove il tutor è colui che fornisce servizi intellettuali capaci di
ridisegnare nuove relazioni tra tempo di lavoro e tempo di educazione e dove il lavoratore ha l'occasione di realizzare il proprio progetto di vita e
di riuscita. In questo contesto l'economia dell'appagamento non vuole proporre soluzioni economiche alla disoccupazione, all'aumento del Pil o alle
relazioni tra banche e imprese, ma propone dispositivi culturali e sociali che non hanno precedenti nelle teorie economiche contemporanee, perché
procedono da una visione, per dir così, olistica della società.
Insomma, l'economia dell'appagamento è anche e soprattutto un nuovo progetto di società che a partire dall'infinito in atto, dalla ridefinizione
delle attività culturali e produttive e dalla reinvenzione delle relazioni tra pubblico e privato, approda alle nuove tecnologie della società
dell'informazione su cui poggiano, tra l'altro, anche le istituzioni dell'Unione Europea. Ebbene, a nostro avviso, questo nuovo modo di intendere le
relazioni tra impresa, lavoro, cultura e comunicazione, produce utili perché riduce la conflittualità e il controllo e, quindi, anche tutti i costi
relativi alla loro gestione. Inoltre, affinché la Botteg@ telematica come nuovo dispositivo produttivo si affermi sempre più occorre partire da una
nuova idea di associazione. Un'associazione non più caratterizzata dal castigo e dal perdono in quanto mezzi ritenuti idonei all'amministrazione
della felicità, ma fondata su principi come la solidarietà, la cooperazione, l'accoglienza, la lealtà e la tolleranza.
In estrema sintesi: per raggiungere la felicità universale, implicita in questo nuovo modello economico, è necessario incominciare a considerare il
dono d'amore non più solo come un'esclusiva della famiglia e della scuola, ma anche come una prerogativa dell'impresa e di tutte quelle istituzioni
dove la gestione del lavoro si basa ancora sull'idea che la felicità sia l'altra faccia del sacrificio.
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