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L'intervento di oggi, tenuto dallo scrittore e giornalista mantovano Adriano
Amati, oltre ad avanzare alcune interessanti obiezioni metodologiche intorno alla logica che struttura questa rubrica suggerisce, anche, l'urgenza
(siamo alla vigilia di elezioni comunali cruciali per l'avvenire di Mantova) di trovare nuovi modi di organizzare lo sviluppo culturale, civile ed
economico della nostra collettività. L'intervento di Adriano Amati diventa, così, anche una bella occasione per ribadire e per rilanciare l'idea, già
avanzata nell'articolo "La nuova politica", che la città si costruisce a partire dalla sua cura e non più dal discorso politico dell'ideologia
laicista. Un'ideologia che, per quasi un decennio, attraverso la pianificazione dirigistica e totalitaria del territorio, la devastazione ambientale
e l'omologazione delle identità culturali nel partito unico del consociativismo e dell'affarismo ha diviso la città tra un centro storico mummificato
e una periferia selvaggia, sempre più abbandonata a se stessa. Come, allora, avere cura della città anziché governare, pianificare o padroneggiare le
cose e i cittadini? Come già abbiamo avuto modo di spiegare nel nostro precedente articolo avere cura della città comporta, anzitutto, amare la
propria città e amare la propria città significa sentirsi impegnati a farla crescere, a migliorarla e a portare a qualità le sue proprietà e le sue
virtù civiche. Ma avere cura della città significa anche inventare nuovi dispositivi sociali di accoglienza, di cooperazione e di scambio economico;
significa, inoltre, non cancellare la memoria ma costruire, restaurare, innovare, mantenere e ripristinare le sue istituzioni, i suoi monumenti, la
sua storia e la sua cultura. Solo con queste proprietà si può restituire alla città quel capitale culturale che ci è stato tramandato e consentire ai
cittadini una vita di qualità come, appunto, ci fa notare Adriano Amati con il suo intervento, che riportiamo in modo integrale qui di seguito.
"Premetto una cosa: io ho sempre avuto grande rispetto per l'elaborazione teorica, perché ritengo la teoria un esercizio intellettuale assolutamente
indispensabile alla formazione dell'individuo. Detto questo, le critiche che ho sempre rivolto a questa rubrica non sono teoriche, ma nascono da una
mia particolare situazione personale legata al mio passato politico. Io, dagli anni '70 agli anni '80, come militante socialista, ho combattuto
tantissime battaglie politiche e, oggi, sono ancora legato a quell'idea che si basa sulla giustizia e sull'equità sociale. Le critiche a questa
rubrica nascono, quindi, dalla consapevolezza che più che una "Stanza dei sogni" io desideravo una "Stanza dei bottoni". Oggi, infatti, non mi basta
più criticare il potere perché nei miei anni di lavoro trascorsi all'Apt ho acquisito quell'esperienza politica necessaria per essere messa a frutto
nelle nostre istituzioni cittadine. Per me è giunto dunque il momento o di stare zitto o di fare delle cose. E questo lo dico perché in Italia siamo
specialisti nel trovare la cosiddetta "terza via" che, in verità, è il modo più sbrigativo per sopravvivere politicamente. Agli antipodi da questa
impostazione compromissoria del potere, io penso che il modo di amministrare la cosa pubblica proceda dalla assunzione diretta della propria
responsabilità, passi attraverso l'elaborazione teorica e, al termine di questo tragitto, approdi al fare. Mi spiego meglio: se io, per esempio,
fossi l'assessore ai lavori pubblici non perderei tempo a filosofeggiare intorno ai passaggi a livello che, com'è universalmente risaputo creano
grossi guai alla circolazione e all'ambiente, ma avrei la possibilità di intervenire cercando di risolvere il problema senza tante chiacchiere. E se
poi, a partire dal decentramento e dal cablaggio del territorio, reputassi importante per lo sviluppo della nostra collettività la costruzione della
"Grande Mantova" ebbene, allora, metterei in atto questo mio progetto e lo attuerei senza perdermi in discorsi inutili. Una cosa è certa: io oggi non
spenderei un istante del mio tempo a discutere dell'avvenire di Palazzo Te perché, appunto, non ho il potere di cambiarne la gestione politica.
Ebbene, è proprio a partire da queste idee, per dir così pragmatiche, che mi immaginavo di fondare quella che, negli incontri precedenti alla
costituzione de "La stanza dei sogni", abbiamo incominciato a chiamare Assemblea civica: un'istituzione che, a partire dall'instaurazione di quella
politica nuova che è l'arte di mettersi in gioco nella società e di relazionarsi concretamente con essa, doveva portare al governo della città una
formazione politica fondata sull'etica e sul fare. Lo ribadisco: la mia educazione politica e giornalistica si è compiuta prevalentemente a Mantova,
di conseguenza ho capito che il potere o lo si gestisce o lo si commenta. In questo contesto, quindi, avrei preferito vedere la "La stanza dei sogni"
come preludio ad un'azione politica che si sarebbe dovuta formalizzare in quel libro-manifesto ispiratore del programma politico dell'Assemblea
civica. Insomma: "La stanza dei sogni" mi ha deluso perché non è stata capace di diventare quel laboratorio politico dove ciascuna persona, oltre a
dibattere le proprie idee, avrebbe dovuto mettersi in gioco per prendere posizione, fare proposte operative e costituire un gruppo di pensiero capace
di fare pressione politica. E questo lo dico perché tutto quello che costituisce sia l'assetto urbanistico che viabilistico e culturale di una città
deriva, solo ed esclusivamente, da scelte politiche mirate al raggiungimento di determinati obiettivi, già prestabiliti nei programmi elettorali. Se,
poi, i programmi elettorali non vengono rispettati è perché, generalmente, propongono soluzioni a problemi che non verranno mai risolti, come il
traffico ad esempio. Io penso, invece, che un programma elettorale più che proporre soluzioni dovrebbe indicare il metodo con cui governare la città,
ossia dovrebbe indicare il modo con cui le cose si fanno secondo l'occorrenza e lungo un cammino di autenticazione: un cammino che si nota, spesso, a
cose fatte. In questo senso l'Assemblea avrebbe dovuto assumere un connotato etico perché avrebbe dovuto indicare ad una formazione politica le
modalità con cui governare la città. A questo punto è legittimo chiedersi: tra tutte le persone che sono intervenute in questa rubrica, quante di
esse sono capaci di assumersi la responsabilità diretta del proprio pensiero politico e, quindi, delle proprie azioni? Ciò che voglio dire è che se
si ama veramente la città in cui si vive bisogna avere il coraggio di assumersi delle responsabilità e mettersi in gioco; per raggiungere il potere è
poi necessario trovare una lobby economica, dialogare con i bacini elettorali, elaborare un programma e prendere i voti. Questo, a mio avviso, è il
percorso di autenticazione di una formazione politica che abbia ben chiara la sua missione. E' amaro ammetterlo ma, come spesso avviene, ciò che
manca sono delle persone coraggiose che sappiano assumersi sia delle responsabilità etiche che dei rischi pragmatici.
Nota. Noi ringraziamo Adriano Amati perché, con il suo intervento, ci indica la conclusione di un cammino che abbiamo iniziato ad
intraprendere da poco più di un anno. Una cosa però deve essere chiara: l'obiettivo che si pone "La Stanza dei sogni" ed il gruppo di persone che la
sostengono, oggi, non cerca la gestione de potere ma si limita ad elaborare e a proporre alla cittadinanza lo statuto intellettuale di quel principe
industriale capace di trasformare il suddito mantovano in un cittadino del mondo in grado di affrontare le sfide culturali, scientifiche ed
economiche che la modernità ci sta proponendo.
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