|
Oggi, con questo intervento, diamo seguito alla pubblicazione degli atti
dell'assemblea del 3 ottobre 2004, la cui prima sezione è stata pubblicata da questo giornale il 29 ottobre 2004 con il titolo "Il bene comune". Atti
che proprio a partire da questo titolo ponevano in risalto la questione della comunicazione come questione essenziale alla diffusione di quella che
abbiamo definito la bottega telematica del terzo millennio. Ecco perché abbiamo definito questa struttura leggera, la bottega telematica, appunto, un
nuovo dispositivo di governo delle cose caratterizzato dall'informatica e dalla bioenergia e contraddistinto dalla cooperazione, dalla comunicazione
(il cui messaggio passa attraverso questo giornale e Internet) e dal tutor, che è il capitale intellettuale della bottega stessa.
L'articolo, poi, si concludeva con una riflessione intorno all'economia dell'appagamento. E nell'aforisma che è stato proposto durante il dibattito
si è stabilito di far procedere l'economia dell'appagamento sia dalla solidarietà come dispositivo di accoglienza, sia dal patto di lealtà come
dispositivo di riuscita. In questo contesto, che riguarda la logica delle relazioni e l'apertura intellettuale, la bottega telematica del terzo
millennio si avvia a partire dall'economia dell'appagamento (che è il modo di affermare come nella logica della domanda e dell'offerta si possa
produrre qualcosa di superfluo da regalare) e approda alla gratitudine che è la cultura del dare: la base stessa della felicità e dell'era del
messaggio. E questo lo diciamo perché l'offerta essendo una proprietà del dare (ma anche della generosità, dell'indulgenza e della tolleranza),
implica l'impossibilità di possedere e di dominare le cose, le idee e gli uomini secondo il canone occidentale che è imperialista. E se l'idea di
impero oggi si è dissolta grazie alla globalizzazione, noi avanziamo l'ipotesi che dall'offerta proceda la solidarietà intesa, appunto, come
dispositivo di accoglienza. Un dispositivo di accoglienza che nulla condivide con la mutua assistenza sociale né con l'equilibrio delle forze sociali
e politiche, ma permette all'ospite, al viaggiatore, al turista e al cliente di trovarsi, grazie all'instaurazione della bottega telematica, nella
condizione per fare, per raccontare e per sognare.
Ma l'economia dell'appagamento, della pace e del pagamento (un'economia che nulla condivide con il premio, il salario, il compenso o con la
remunerazione che sono gli strumenti per controllare e per dominare una società fondata sull'assistenza e sulla protezione), procede anche dal patto
di lealtà come dispositivo della riuscita. Lungi dal credere che per riuscire bisogna conformarsi al principio della promessa sociale e politica, noi
crediamo che la riuscita sia, anzitutto, linguistica e pragmatica e non la rappresentazione del benessere e dell'armonia sociale. Riuscita
linguistica perché le nostre radici classiche poggiano sulla parola originaria e sono custodite dalla famiglia come traccia e come apertura ma,
anche, pragmatica perché la riuscita trova il suo compimento nella legge, nell'etica e nella vendita di ciò che si fa e si produce nella bottega. E
siccome l'arte del fare è la base della bottega, senza vendita non c'è nemmeno bottega e, quindi, nemmeno patto di lealtà come dispositivo di
riuscita.
Da questo preambolo risulta quindi chiaro che l'economia dell'appagamento è una vera e propria rivoluzione culturale se paragonata all'economia del
consumismo che contraddistingue il capitalismo e il libero mercato così come li conosciamo noi oggi. Ma l'economia dell'appagamento introduce, anche,
l'esigenza di trovare un limite al benessere e alla ricerca del profitto a tutti i costi: due concetti antintellettuali che spazzano via la ricerca,
la cultura , l'arte, la memoria, la storia e le tradizioni. Infatti l'economia consumistica è selvaggia e sfrenata e non pone limiti al consumo,
perché è fatta per creare e per soddisfare, immediatamente, i bisogni delle masse consumatrici. Bisogni che tra pragmatismo, edonismo ed economicismo
sono fondati sul presupposto che, oggi, per essere felici, occorra procedere dal merito e dal debito nei confronti di un'autorità superiore
dispensatrice di salari e di tangenti, di premi e di castighi. Una svolta nell'economia consumistica si rende, quindi, più che mai necessaria, perché
il modello in auge da più di 200 anni è stato utile per raggiungere una qualità della vita che soddisfa i bisogni primari (la fame e la salute, per
esempio) e secondari (quelli sociali) dell'uomo, ma sta devastando valori etici come la verità, la giustizia, la morale e la fede. Se il modello
capitalista che poggia su quel canone occidentale imperialista, reso ormai vano dalla globalizzazione, è arrivato a risolvere i bisogni primari e
secondari dell'umanità, occorre che adesso il capitalismo globale che è, anzitutto, intellettuale (forse l'altra lezione che si può trarre da Marx è
che il capitale a cui approdare è il capitale intellettuale inteso come valore assoluto e come qualità), affronti la sua prova più difficile: quella
etica.
L'economia dell'appagamento, così come l'andremo ad elaborare in un prossimo intervento, vuole quindi mettere in discussione quei modelli sociali e
professionali consolidati che, da una parte, presumono di regolare, gestire, dominare e finalizzare il capitale, l'industria e il mercato; dall'altra
parte il capitale, l'industria e il mercato sono condizionati da tutti questi modelli che mirano a conseguire un unico risultato: l'economia del
consumismo. Un'economia che solo in apparenza produce benessere ma, in realtà, è assolutamente punitiva perché poggia su una struttura militare
organizzata sulla struttura del diritto canonico. Un diritto che con le sue varianti religiose del protestantesimo, del calvinismo e
dell'anglicanismo presiede all'organizzazione e al regolamento dei rapporti gerarchici all'interno dell'industria. Ed è anche per questo che i
dispositivi industriali di oggi, oltre a scatenare continue guerre commerciali e militari, sono così aggressivi e indifferenti nei confronti della
felicità dell'uomo. Questi dispositivi, infatti, si fondano sull'idea che le cose consumandosi debbano finire per poi rigenerarsi in una sorta di
palingenesi perenne che diviene, così, la condizione necessaria per la produzione di bisogni completamente fasulli. Bisogni che, se non vengono
soddisfatti immediatamente, creano violenza.
|