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E' con grande piacere ed estrema soddisfazione che abbiamo l'onore di ospitare
in questa rubrica l'intervento di un'artista mantovana davvero speciale: Anna Moccia. Un'artista che, a nostro avviso, ha trovato nel piacere
dell'invenzione, dell'arte e dell'insegnamento l'approdo alla qualità. Ma anche la cifra del suo itinerario di vita. E questo lo diciamo perché
l'opera di Anna Moccia segna una speciale apertura all'arte e all'invenzione, da cui procedono il suo incessante rinascimento artistico e spirituale
quanto il modo del suo fare industrioso. Rinascimento artistico e rinascimento industriale che, in definitiva, sono le due facce del messaggio di
vita, di speranza, di lotta e di riuscita custodito nell'opera di questa artista. Ma, entrambi, sono anche le basi di una vita dedicata
all'insegnamento e alla trasmissione dell'arte, e le basi della sua bottega e del suo atelier: le prove reali di un itinerario artistico di qualità.
Un itinerario che non segue modelli pittorici e culturali da imitare o da rispettare, ma incomincia dalla rivoluzione dell'immagine e approda
all'insignificabile; ad una similitudine di vita assolutamente sconosciuta tanto dalla provincia Italia, quanto dalla provincia Europa. Da queste
premesse procede, quindi, l'altra luce dei suoi quadri, quella stessa luce che risplende nella sua conversazione e nella semplicità della sua
narrazione: una semplicità che non semplifica ma che mira all'eccellenza. In assenza di naturalismo. Ma, adesso, lasciamo la parola ad Anna
Moccia.
"La mia storia di pittrice incomincia subito. Ma con una dimenticanza. Fin da
bambina disegnavo moltissimo, poi un bel giorno dimenticai la gomma da qualche parte e non la trovai più. Siccome quelli erano tempi durissimi, mia
madre non me ne comperò un'altra. Da quel momento cercai di fare disegni giusti per me. Rammento, inoltre, che guardando le persone le vedevo come
colore e come segno e subito sentivo l'impulso di trasferire queste mie impressioni su un foglio di carta. Ebbene a partire da quei segni e da quei
colori, e non da personaggi o da modelli, mi sono inventata un itinerario artistico che oggi mi fa vedere le cose in modo più semplice e rarefatto.
Essere artista è diventato, così, uno stile di vita che mi ha permesso di intendere le cose in modo differente, altro, singolare,
inaudito.
Questa mia particolare posizione nei confronti della vita mi spingeva anche
verso la ricerca. E così ho intrapreso lo studio dell'arte. In quegli anni a Mantova, però, era pressoché impossibile avere una formazione artistica
decente. Allora decisi di iscrivermi all'Istituto d'Arte di Modena. Ma anche quella scelta si dimostrò, ben presto, insufficiente a soddisfare tutte
le mie esigenze artistiche e le mie curiosità intellettuali. Poi, finalmente, sono approdata all'Accademia di Belle Arti di Bologna, dove ho avuto
come maestri Giorgio Morandi e Virgilio Guidi. Alla fine del corso di studi, durato 4 anni, sono stata chiamata nell'aula magna dell'Accademia e alla
presenza di un vastissimo pubblico, Morandi, Minguzzi e Guidi hanno premiato la mia opera come miglior lavoro dell'anno accademico. Questo premio è
stato la conferma del mio talento artistico e da quel momento in poi si è avviata la mia carriera di pittrice. Nel frattempo mi sono sposata e per 35
anni ho insegnato disegno e storia dell'arte a Mantova, impegnandomi attivamente anche nel volontariato. In questa attività, che prosegue ancora
oggi, ho debuttato tenendo corsi di pittura alla galleria "La Torre" e poi al Centro anziani di via Mazzini. Adesso lavoro presso l'Università della
terza età, dove dirigo un atelier di pittura e dove tengo un corso di estetica e di storia dell'arte rivolto, soprattutto, all'educazione dello
sguardo. Infatti sono convinta che vedere un'opera d'arte non basti; ciò che occorre è mettere in gioco lo sguardo, perché lo sguardo in pittura
significa anche ragionamento, osservazione critica della realtà e giudizio sulle cose. Insomma, significa instaurare quell'equilibrio originario che
permette di usufruire compiutamente della dote del guardare, che è appunto un dono intellettuale. Questa educazione io l'ho insegnata per tutta la
vita.
Poi, quando è morto mio figlio quella parte di me che ha sempre cantato la
bellezza della vita è diventata improvvisamente muta. Quei silenzi immensi, profondi come abissi insondabili e vasti come l'eternità, li ho elaborati
e risolti con l'aiuto della ceramica. In tutto quel silenzio rivedevo di continuo l'immagine di mio padre mentre arava la terra e trovava splendidi
frammenti di ceramica antica. A quell'immagine mi sono aggrappata con tutte le mie forze e da lì sono ripartita per sperimentare nuovi materiali e
nuove forme che si rifacevano alla ceramica ingobbiata e graffita: un manufatto tipico dell'arte popolare mantovana in voga tra il 1400 e il 1500. E
siccome io sono una persona che non si accontenta mai e che ama percorrere sempre nuove strade, nel 2002 ho fondato a Mantova la galleria d'arte
Principe Amedeo insieme a Mario Pavesi, Romano Marradi e Giuseppe Manzella. La specificità di questa galleria è di essere aperta a tutti quegli
artisti di talento che non hanno ancora un curriculum di prestigio e che sono esclusi dalle gallerie di tendenza e dal mercato dell'arte. Un mercato
che, com'è noto, presenta certe quotazioni assolutamente arbitrarie. Il tempo, comunque, metterà ordine tra queste cose e, forse, fra cento anni
certi valori fasulli tramonteranno e ne sorgeranno altri più autentici e duraturi.
Ora, in conclusione, posso tranquillamente affermare che tutto il mio percorso
di vita si è svolto sempre all'insegna dell'innovazione: una virtù intellettuale sconosciuta ai mantovani che non amano il rischio, che sono pigri e
che non vogliono affrontare le novità. Inoltre il mio amore per l'arte è sempre stato talmente elevato che io non mi sono accontentata di trarne
giovamento personale, ma ho sempre cercato di annunciare a tutti la sua novella di vita e di bellezza. Il mio sogno allora è questo: che tutti
riescano ad apprezzare un'opera d'arte senza bisogno di ricorrere ad intermediari che li influenzino nei giudizi. E questo lo dico perché quando io
leggo un buon dipinto, questa lettura mi riempie di gioia e questa gioia vorrei che la provassero tutti in piena libertà di giudizio. Orbene, io
auguro ai mantovani di conquistarsi questa indipendenza di giudizio non solo per giungere a leggere le vicende dell'arte in modo singolare e inedito,
ma anche per intervenire con saggezza su ciascuna questione che riguarda la loro crescita civile, sociale e spirituale.
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