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Oggi, in questa rubrica diventata punto di identificazione di tutti quei
cittadini che si riconoscono nel Manifesto del Nuovo Rinascimento Mantovano abbiamo il piacere di proporre l’intervento del dott. Alessandro Corsini.
Ma, prima di lasciare la parola al dott. Corsini ne approfittiamo per specificare meglio ai nostri lettori cosa intendiamo quando parliamo di Nuovo
Rinascimento Mantovano.
Com’è noto, le dottrine politiche della riforma, dell’illuminismo e del
romanticismo sorte dall’idea di un suddito manchevole e difettoso da assistere e da governare sono, ormai, tramontate. Ma è tramontato, soprattutto,
quel sessantottismo (una cosa assolutamente agli antipodi dalle istanze intellettuali avanzate nel ’68) che aveva messo una grossa ipoteca ideologica
e nazionalizzante sull’industria. Con la fine di queste reazioni antirinascimentali è emersa un’idea di tempo, e dunque di Rinascimento, che esige
dall’industria la reinvenzione dell’arte e della cultura, della tecnica e della macchina, del gioco e della formazione e la cui condizione risiede
nell’internazionalismo economico, artistico e culturale. Ebbene ciò che stiamo iniziando a introdurre a Mantova è l’idea di un Rinascimento
originario che non si fonda sull’antico (anche se dall’antico trae le istanze e gli insegnamenti più interessanti come la questione della cultura e
la vicenda dell’arte), ma procede dall’industria e dalla struttura materiale delle cose. Una struttura che trova il suo statuto intellettuale nel
principe industriale, nell’imprenditore di se stesso: non un suddito ma un individuo libero e indipendente capace di istituire dispositivi culturali,
imprenditoriali, commerciali, amministrativi ed educativi che mirino ad un governo di qualità delle cose. Ma adesso lasciamo, senz’altro, la parola
al dott. Alessandro Corsini.
“Dopo aver conseguito la maturità scientifica a Mantova, mi laureo in Economia
e Commercio a Bologna. Subito scelgo la libera professione e oggi collaboro con una società che organizza congressi e stages di aggiornamento per
tutti quei professionisti che si occupano di normativa tributaria e fiscale. Il compito di questa equipe di ricercatori è quello di studiare
approfonditamente la normativa ufficiale in modo da saper rappresentarne non solo le norme ma anche i principi ispiratori.
In questo modo la norma viene resa intelligibile attraverso l’elaborazione
delle cause che l’hanno ispirata. Insomma il lavoro del nostro gruppo è proprio quello di rendere più umana la norma, affinché non resti un astratto
strumento di “controllo sociale”. E, uno dei risultati più interessanti raggiunto dalla nostra equipe è stato quello di instaurare importanti
relazioni di amicizia nate nell’ambito di svolgimento di questo lavoro. Questo modo creativo di intendere la professione è assolutamente inedito e
innovativo nei confronti di una realtà generale, ma anche mantovana, più propensa ad una mera modalità pratica di applicazione delle norme. E questo
lo dico perché, a mio avviso, ci sono due modi di esercitare la mia professione: quello del regista e quello del montatore. In breve, questo
significa che la regia articola le problematiche professionali seguendo un preciso progetto culturale, in cui le norme prendono significato dai
principi che le informano. Il montaggio, invece, è più pragmatico perché tende ad applicare la norma e ad evitare sanzioni.
Ebbene, le esigenze espresse dalla realtà mantovana si orientano normalmente,
verso richieste di montaggio che, per attenerci alla metafora cinematografica di prima, richiedono al commercialista di aver appreso alla perfezione
il copione da mettere in scena. E, forse, proprio grazie a questa mia insofferenza di attenermi pedissequamente ad un copione arido e coercitivo,
preferisco la regia ed essere libero di “recitare a soggetto”. Purtroppo, questa assenza di fantasia e di creatività io, oggi, la riscontro
soprattutto nei giovani mantovani che non discutono, non si incontrano e non fanno nulla per condividere un sogno che aiuti a crescere insieme. Ma
c’è di peggio: i giovani mantovani di oggi non si perdonano gli errori e i loro rapporti relazionali mancano di tolleranza. E’ come se avessero
assunto il dictat della competizione vigente nel mondo degli adulti e nel mondo economico dove, appunto, chi sbaglia paga. Questa mancanza di
tolleranza, non solo per gli altri ma anche per se stessi, impedisce la possibilità di crescere insieme e, soprattutto, individualmente. Ma, com’è
risaputo, si impara solo sbagliando. Insomma, senza tolleranza non esiste crescita, esiste solo ed esclusivamente il conformismo ideologico,
l’adesione incondizionata al luogo comune e l’uniformità intellettuale. E questo stato di cose è dovuto al fatto che le scelte culturali, oggi,sono
determinate dal loro valore di business. Però le iniziative così strutturate, alla lunga, finiscono per avere un risultato troppo riduttivo in
termini di valore formativo, in modo particolare nei confronti dei giovani che così non si curano più della loro formazione intellettuale e divengono
sempre più chiusi, intolleranti e sanzionatori.
Per quanto mi riguarda il contributo che mi sento di dare alla crescita
civile, intellettuale e culturale della nostra collettività è quello di rendere sempre più intelligibili tutti quei principi che sono sottesi alle
norme, ma anche di trovare i modi di comunicarli ad un pubblico sempre più vasto. In estrema sintesi: mentre con l’applicazione della norma il
cittadino mantovano si trasforma in un suddito che esegue un dovere solo per evitare sanzioni, altra cosa è orientarlo verso una crescita
intellettuale, dunque civile, strutturata dalla conoscenza dei principi che gli permettono di applicare le norme senza più paura delle sanzioni. Il
mio sogno, allora, è quello di riuscire a coinvolgere anche Mantova in questo processo di crescita civile e sociale che stiamo portando in altre
città, perché saper far propri i principi significa poter essere tolleranti, ed essere tolleranti vuol dire vivere senza l’assillo di sentirsi gli
esecutori ineffabili della corretta applicazione delle norme che ci salvaguardano dalle sanzioni.
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