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a cura di Giacomo Bucci ed Enrico Ratti articolo pubblicato in prima pagina sulla Cronaca di Mantova il 9 luglio 2004
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Il dono di famiglia |
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I precedenti articoli “Il benessere della persona” e “Da padre in figlio” ci danno l’occasione per
ampliare, migliorare e integrare quella sezione del nostro Manifesto che abbiamo dedicato alla teoria. Una sezione che fa appello ad un nuovo modello
di vita strutturato da tre principi: l’Onestà intellettuale, base e condizione della coscienza civile; Il rispetto dell’altro e delle
cose che instaura l’equilibrio delle relazioni sociali, e Il miglioramento umano e sociale della nostra collettività. Questi tre principi,
a nostro avviso, sono alla base di quella felicità che è il piacere di realizzare i nostri sogni, ma anche il compimento di un itinerario di qualità.
Ma, affinché, questo itinerario si avvii occorre tener presente sia la famiglia intesa come traccia originaria da cui procede il mito, che l’impresa
base e condizione del fare: da queste due istanze traggono giovamento tanto la felicità quanto l’amore. Infatti la felicità dell’individuo non può
prescindere dall’amore che è soprattutto un dono. Ebbene, siccome oggi cercheremo di elaborare una nozione di famiglia non più ritenuta l’equivalente
generale dei valori di gruppo, di popolo e di gregge, ma traccia e condizione di un disegno rinascimentale e industriale, noi avanziamo l’ipotesi che
i genitori con il loro statuto di autori siano individui capaci di donare ai figli, con generosità, un capitale spirituale contraddistinto
dall’assenza di qualsivoglia aspettativa di reversibilità. Riuscire a capire il valore di un dono che non esige la reciprocità è la cosa più potente
che esista. Ne è un esempio la Chiesa dove tutto è iniziato con un grande dono d’amore che, simbolicamente, si perpetua nei millenni. E questo dono
si chiama anche libertà.
In principio, dunque, la famiglia nasce da una coppia dove il progetto di natura di ciascuno dei due individui è potenziato nel rispetto della
relazione con l’altro. Il passo successivo è il figlio, a cui i genitori devono saper donare, generosamente, quel capitale materiale e intellettuale
che non comprometta il loro originario progetto di natura. E’ qui che interviene una duplice responsabilità per i genitori: la prima significa saper
individuare con onestà intellettuale quello che si ha in più e che si può donare con gioia, senza percepire alcuna rinuncia; la seconda, ancor più
intellettuale, riguarda la consapevolezza dei bisogni materiali e spirituali che favoriscono il percorso di natura dei propri figli. Solo allora il
padre e la madre sono felici di donare, perché il dono fatto con generosità e senza aspettativa di reciprocità li rende autori responsabili della
felicità dei figli. Il dono, quindi, assume il suo statuto di valore spirituale non perché risulta conveniente per chi lo fa, ma perché è utile a chi
lo riceve. Questa procedura, inoltre, introduce una nuova idea di ringraziamento: essendo escluso a priori ogni obbligo di debito morale, l’individuo
ha una tale valutazione del dono ricevuto che, in tutta libertà, è indotto allo stesso comportamento verso il suo prossimo.
Adesso, invece, prendiamo in considerazione la famiglia tradizionale. C’è da dire che il terreno mitologico su cui si è sviluppata la famiglia è
sempre stato quello della domesticità dove il figlio viene ancora considerato una proprietà da proteggere. E questo deriva dal fatto che, in origine,
i figli servivano alla famiglia per diventare più forte nelle varie genealogie sociali e spirituali che hanno strutturato la nostra collettività nei
secoli. In altre parole: i genitori ancora oggi si rappresentano, quasi inconsciamente, padroni e custodi dei loro figli che, di conseguenza, sono
considerati alla stessa stregua di una ricchezza di proprietà da far valere negli scambi e nelle gerarchie sociali. E il figlio è costretto ad
adeguarsi a questa mitologia sociale per continuare a perpetuare l’appartenenza della parentela ad un sistema che sull’egoismo fonda la propria
identità. E le proprie fortune. Orbene, l’obiezione che ci sentiamo di rivolgere a questa impostazione arcaica e pagana della famiglia è che se il
padre e la madre, presi nel loro nuovo statuto rinascimentale e industriale, vogliono davvero la felicità dei figli devono imparare a donare con
generosità senza aspettarsi reciprocità dai loro atti finalmente liberi da condizionamenti ideologici. Quello che ci preme trasmettere, dunque, è che
se il padre e la madre sono profondamente convinti del rispetto dovuto ai figli, non come sudditi da governare, ma come individui con un proprio
singolare progetto di natura, essi si devono aspettare solo un generico impegno all’utilizzo dei talenti donati. Ma anche la felicità di assistere
alla realizzazione di itinerari di qualità grazie ai loro doni che, tra l’altro, hanno la caratteristica di essere assolutamente gratuiti. In questo
contesto il figlio assume lo statuto di principe industriale, ovvero di individuo libero di realizzare il proprio progetto di natura diventando
imprenditore di se stesso. Perché il dono gratuito è un “salto” di qualità che si addice anche all’impresa. Ma questo sarà l’argomento del nostro
prossimo intervento che avrà come tema la svolta culturale in atto nel capitalismo moderno, una svolta che al profitto privilegia la felicità
dell’individuo preso come parte integrante di un’équipe di lavoro. |
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