|
Una cosa è certa: gli interventi
di Eleonora Scacchetti, di Werther Gorni e di Daniele Allegretti hanno iniziato a tratteggiare un ritratto di Mantova del tutto inedito e innovativo.
Un ritratto grazie al quale, molti nostri concittadini hanno iniziato ad essere informati, con onestà intellettuale, sul nostro recente passato, ma
anche sulle prospettive di un nuovo sviluppo della nostra città, della nostra collettività e del nostro territorio. E, fatto ancor più straordinario,
i nostri tre sognatori hanno dato questo contributo di idee e di pensiero attenendosi alle norme, alle regole e ai motivi esposti in quel Manifesto
culturale che abbiamo definito Nuovo Rinascimento Mantovano. Un Nuovo Rinascimento che, non ci stancheremo mai di ripeterlo, ruota intorno a tre
questioni capitali: la questione teorica (strutturata da principi quali l’onestà intellettuale, il rispetto dell’Altro e delle cose e dal
miglioramento umano e sociale della nostra collettività); la questione teorica applicata al modello mantovano e il dibattito intorno a tutte quelle
iniziative individuali e sociali che possono essere definite di pubblica utilità.
Oggi questi primi tre interventi vengono integrati da quello del dottor Carlo Benatti che ci illustra come è avvenuta quella rivoluzione culturale
della campagna mantovana che ha portato i nostri contadini a diventare promotori dei loro prodotti e protagonisti di primo piano nei mercati
internazionali. “Mantova, per molte persone che abitano in campagna, è stata in passato un sogno di modernità, di formazione scolastica e
di opportunità lavorative. Negli anni ’50 e ’60 molti venivano in città per migliorare le loro condizioni di vita legate al duro lavoro dei campi, ma
anche per acquisire nuove conoscenze e nuove tecnologie. In quegli anni, infatti, la città era un polo scolastico di primaria importanza ed era
diventata un punto di riferimento culturale e formativo per tutta la Provincia. Successivamente, altre città, limitrofe alla nostra, hanno imboccato
con decisione la via della modernità: hanno migliorato e rafforzato le loro vie di comunicazione, hanno rinnovato l’offerta legata alla formazione
scolastica e universitaria e ci hanno soppiantato. E così Mantova è ritornata ad essere quella fortezza medievale che, per difendersi dalla minaccia
della modernità, si rinchiude nel suo splendido isolamento. Insomma, in quegli anni a prevalere è stato l’istinto contadino che pur di non rinnovarsi
ha preferito cedere al mondo esterno i figli e le intelligenze migliori. Ebbene, questa cessione di intelligenze, prolungata nel tempo, ha portato ad
una selezione naturale che ha fatto crescere in città generazioni di cittadini passivi e assolutamente ostili al rinnovamento. In estrema sintesi:
Mantova è stata una città all’avanguardia finché le sue vie di comunicazione continuavano ad essere quelle antiche di un tempo. Nel frattempo altre
città hanno rinnovato il loro sistema viario mentre noi, che abbiamo da sempre la fortuna di essere al centro della Pianura Padana, siamo rimasti
isolati da tutto. Eppure a Mantova la domanda di nuove infrastrutture c’è sempre stata ma, purtroppo, l’istinto rinunciatario dei mantovani ha finito
col prevalere. Lo ripeto: i mantovani piuttosto che affrontare la novità e il cambiamento preferiscono mandare i figli a studiare in altre città,
dove poi ci rimangono. Insomma se l’innovazione viene da fuori, com’è avvenuto per la Città della Moda o con gli Ipermercati, è considerata negativa
e allora, per non perdere la propria identità, la città tende a rinchiudersi in se stessa favorendo le consorterie che, per mantenere i loro
privilegi, impediscono la costruzione delle infrastrutture e trascurano lo sviluppo delle nuove tecnologie.
“Tutto questo vale per la città di Mantova, ma non per la campagna dove, al contrario, è successa
ultimamente una vera e propria rivoluzione culturale che ha coinvolto, attraverso la ricerca e l’innovazione, i settori legati alla produzione del
latte e all’allevamento dei maiali. Nelle campagne mantovane, infatti, la tradizione voleva che i contadini e gli allevatori producessero e basta,
mentre ad altri operatori erano delegate le fasi successive della commercializzazione dei prodotti. Oggi, invece, la globalizzazione è arrivata
persino a cambiare gli usi e i costumi millenari dei nostri contadini. Contadini che fino a pochi anni fa erano assolutamente restii a muoversi dalla
loro terra. Adesso prendono l’aereo e vanno a promuovere i loro prodotti a Tokyo. Le cause di questa rivoluzione culturale sono allora rintracciabili
nella crescita frenetica del settore agricolo e zootecnico legata ad una rinnovata capacità imprenditoriale ma, anche, nell’acquisizione delle
conoscenze tecniche, nella ricerca di settore, nella formazione permanente e nell’istruzione. “In questo contesto di forte sviluppo e di
tumultuosa crescita la campagna è cresciuta e si è saputa aprire all’innovazione tecnologica, mentre la città ha segnato il passo subendo una
inarrestabile involuzione. Ebbene oggi la Provincia non chiede più niente alla città soprattutto perché Mantova è ritornata ad essere una fortezza
chiusa, ossia una città priva di tutti quei collegamenti e servizi che servono per affrontare le sfide della modernità e del libero mercato. In altri
termini: ai cittadini mantovani è mancata la capacità collettiva di mettere in discussione e di rinnovare le proprie tradizioni sia a livello sociale
che culturale. Tradizioni da sempre condizionate da quella “resistenza passiva” che era un modo di opporsi agli invasori rinchiudendosi nel castello
del Principe, dopo aver accumulato abbastanza provviste per reggere ai lunghi assedi.
“Il mio sogno allora è questo: anzitutto che Mantova non diventi una Disneyland. Insomma a Mantova non c’è
più né sviluppo né cultura perché manca il progetto, manca il sogno. Ebbene, in questo contesto è auspicabile che i mantovani ritrovino al più presto
il loro Principe che, nella salvaguardia delle proprie radici, sappia ricollegare Mantova al mondo intero, riattivando le funzioni vitali della città
attraverso l’innovazione tecnologica e culturale per ritornare, come in passato, a svolgere la funzione di baricentro economico di una terra di
frontiera. Nota: il dottor Carlo Benatti
si è laureato in medicina veterinaria a Bologna. Attualmente è Veterinario Ufficiale dell’ASL Provincia di Mantova.
|